16 giugno 2018 - Danilo Massa
Secondo il recente censimento del Ministero della Salute, riferito al 2016, i celiaci diagnosticati sono quasi 200.000. Numeri in crescita, a cui si potrebbero aggiungere altre 500.000 persone, celiache ma che non sanno ancora di esserlo. In totale si arriverebbe a 700.000 connazionali costretti alla dieta senza glutine. “Numeroni”, verrebbe da pensare, che tuttavia impallidiscono di fronte al dato reso noto dalla Società italiana di nutrizione clinica e metabolismo (Sinuc), che, nel corso di un congresso tenutosi a Torino l’8 giugno, ha rivelato che sono 6 milioni le persone che consumano alimenti privi di glutine, nonostante non siano celiaci diagnosticati.
Parte di questa popolazione – oltre due volte il numero di residenti di Roma e sei di Napoli – ha deciso di privarsi del glutine con la convinzione che ciò porti benefici alla linea o al rendimento sportivo. Un argomento, questo, che non trova fondamento nella letteratura scientifica e che di contro continua ad essere sostenuto – o quantomeno sperato – da parte di chi si affida spontaneamente alla dieta gluten free.
Come mai si persevera nell’errore? Probabilmente convince la testimonianza di chi osserva semplicemente che, tolto o ridotto il glutine, si è perso qualche chilo. Una circostanza che appena un mese fa, parlando dei benefici della dieta senza glutine, avevamo sottoposto alla dott.ssa Silvia Cesarano, dietista nutrizionista, che spiegò che probabilmente in casi simili “il problema non è il glutine, ma l’eccesso di carboidrati: se una persona assume grandi quantità di pane, pasta e prodotti da forno (soprattutto se preparati con farine raffinate) e decide di ridurli aumentando invece il consumo di cibi naturalmente privi di glutine, come frutta, verdura, legumi e alcuni cereali integrali, di sicuro la dieta sarà più sana e ci si sentirà più ‘sgonfi’ “. Benefici, dunque, che non derivano dall’eliminazione del glutine in sé, quanto dalla riduzione dei carboidrati.
Un’altra parte di questi sei milioni di “celiaci per scelta” è probabilmente in fase di test prima di rivolgersi ad un medico specialista e prima, soprattutto, di affrontare l’invasivo iter diagnostico. Un atteggiamento comunque sconsigliato, poiché finisce per falsare i dati delle analisi del sangue. Insomma, in un caso come nell’altro, se davvero esiste un problema di digestione, si rischia di non venirne a capo e di mangiare alimenti più costosi e dal sapore non sempre appagante.